boh
in conclusione: arriveranno tempi migliori (eh se arriveranno)
Son stanco. Davvero. Son stufo.
Ieri notte, ero nel letto. Pensavo di me. E al fatto che uno possa sbattersi così tanto sulla rete senza concludere una mazza. Commenta va fa dice posta linca e riceve VISITATORI. Uella.
Probabilmente mi son stufato. Di me. Capita. A me capita.
Non voglio più lavorare. Mi son rotto i cojjoni di lavorare. Di più: quel lavoro lì mi ha rotto. Sono fisicamente stanco. Cerebralmente stanco. Leso da quello che quando voglio descriverlo mi viene solo da dire boh, abbassando le labbra perché non lo so.
Non posso più portare me stesso in mezzo a certa gente che davvero io non so dire.
Credevo di sapere qualcosa che loro non sapessero. Invece no. Io lì in mezzo mi sento ESTRANEO. Un'altra cosa. Le uniche persone con cui mi piace stare cinque minuti, son quelle che di solito non parlano mai. O lo fanno pochissimo. E di solito non sono né italiani né persone che credono di essere normali.
Anni fa, credo tre, ero più o meno a questi livelli. Quando arrivavo al lavoro, i miei amici erano due ragazze e un ragazzo, down. Loro tre mi venivano in contro, facevano gruppetto intorno a me, mentre, in sosta, fumavo la mia sigaretta.
Più di tutti c'era G. Lei ha una quarantina d'anni. E' down e sa di esserlo:
"perché ci mettono tutti insieme nella fila, a noi? io lo so che non son normale ma quelle cose lì le sanno fare tutti. Perché non mi mettono insieme agli altri? Diglielo"
Ora. Stasera, ieri notte. Settimana l'altra.
Il lavoro degli operai, in Italia, fa ridere. Quelli che fanno ancora più ridere sono i sindacati. In una assemblea delle loro, il sindacalista parlava con parole come "infami" "profondamente ingiusto" e altre tipiche cose. Ma il linguaggio era pesante. Voleva creare l'effetto, che non ha creato. La stessa persona, il sabato mattina seguente, faceva il suo bravo straordinario. Con una macchinetta lavapavimenti in mano e con la solita faccia da sindacalista. "magari c'ha bisogno"
Domani sarà lo stesso. Appena ti svegli senti già il sapore aspro della vita, ti entra nel cervello la prima immagine dopo tutti quei sogni. Ma io già penso al mio lavoro. Appeno sveglio. Penso eternamente che quello no che non lo è il mio lavoro allora vai altrove cambia lavoro dai retta a me. Grazie.
Mi son rotto. La cosa più brutta e che non riesco a sentirmi responsabile. Un mese fa col mio ingegniere, quello che stimo, quello a cui credo, ci ho parlato. E, in segno di amicizia, gliel'ho confidato. Che come stavano facendo poteva diventar pericoloso. Perché alla gente, all'operaio semplice o complicato, stava passando la voglia. Se posso non farlo, io non lo faccio. Se posso non venire, io non vengo ("mi metto in malattìa"). Se posso non alzare questa cosa da terra, io la lascio lì. Io per primo mi son detto stufo, che quell'ambiente mi stava togliendo tutta la voglia ed ogni fantasìa. Perdevo in interesse. Ma venivo pagato all'esatto ed identico modo. La qualità del mio lavoro, poss'essere anche lavare un pavimento, l'ho sempre ritenuta il mio punto forte e sicuro. Ora no. Non più.
Ho chiesto di cambiare, crescere, far qualcosa d'altro. Perché tre anni a far l'automa, con il cervello in ferie, con quella gente intorno, a me sembrava esagerato. Mi sembra pesantissimo. Mi sembra immane. Mi sembra annullante. Mi sembra.
Mi sembra un danno quasi irreparabile, comodamente accettato perché ho creduto non vi fosse il bisogno di spiegarlo.
Devo staccarmi dal ridere a vedere che riesco a far la ricerca ajax e mollare tutto, bestemmiare dentro e fortissimo, per venire lì a riempire una cassa con delle palle. Scioglievoli.
fanculo.